Business plan: domande e risposte

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Business plan: domande e risposte

Studio Zamprogna & Brusa

Il business plan, o piano industriale, fino a non molti anni fa era uno strumento di interesse e alla portata di imprese di una certa dimensione, mentre per le PMI rappresentava un oggetto estraneo alle proprie esigenze, se non addirittura un oggetto misterioso.

Oggi non è più così, essenzialmente per due ragioni, tra loro collegate.  La prima è la rilevanza del fenomeno “start-up”, in particolare di quelle innovative, e l’interesse a  farle decollare. La seconda è l’esigenza di giustificare e documentare i propri piani di business ed i risultati attesi per ottenere da finanziatori esterni i capitali necessari a realizzare gli investimenti  progettati, si tratti o meno di start-up. In realtà esiste una terza ottima ragione, la più naturale e interna all’impresa, che è quella di guidare meglio l’azione manageriale, facendone salire il livello qualitativo. 

business plan: domande e risposte


Sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, solo le imprese di dimensioni elevate ne sentono la necessità e ne apprezzano la rilevanza. Le PMI, in particolare in questi anni di crisi, fanno il business plan quando qualcuno glielo “impone” e – complice una cultura manageriale non sempre all’altezza dei problemi  da affrontare – sovente non ritengono prioritario avvalersene. Del resto, hanno un atteggiamento analogo nei confronti di strumenti di direzione propedeutici al business plan, primi fra tutti quelli del controllo di gestione (contabilità analitica, budget, reporting). Spesso inoltre considerano la contabilità generale e il bilancio d’esercizio come meri adempimenti civilistico-fiscali, senza coglierne le potenzialità come strumenti gestionali. A maggior ragione, esitano a dotarsi di strumenti più evoluti.

Comunque sia, la sensibilità delle PMI per il business plan è cresciuta e tende a crescere, come è dimostrato esplorando le esperienze di incubatori d’impresa, le prassi di banche e di advisor e intermediari finanziari, le iniziative di organismi come Camere di commercio, associazioni industriali, ordini professionali, a cominciare dai Dottori Commercialisti.

Appurato  che vale la pena di occuparsene, è opportuno in questa sede fare una chiarificazione di base, mettendo dei punti fermi, e rispondere ad alcuni interrogativi solo apparentemente banali.

La chiarificazione riguarda il contenuto stesso del business plan. Non sempre è infatti chiaro che il piano industriale deve possedere requisiti abbastanza precisi e si basa su principi e criteri che richiedono l’applicazione di una metodologia rigorosa, cioè un approccio ben diverso dal “fai da te” che ogni tanto si riscontra nella prassi aziendale. Il business plan è un documento che contiene i seguenti elementi:

  1. La strategia di business in essere (se non si tratta di start-up) e i suoi risultati economico-finanziari recenti
  2. L’idea imprenditoriale e le linee-guida strategiche future, relative ad un arco di tempo “lungo”, cioè pluriennale
  3. Il modello di business con cui esplicitare analiticamente le intenzioni strategiche di cui al punto precedente, mettendo a fuoco obiettivi e fattori critici di successo e di rischio
  4. I piani d’azione e i progetti  mediante i quali tradurre in pratica le scelte strategiche di business
  5. I risultati attesi del piano, espressi in termini economico-finanziari (bilancio preventivo pluriennale) e mediante altri indicatori – non monetari – di performance.

Come si intuisce, si tratta di qualcosa di ben diverso da due diffusi approcci, agli estremi opposti, tutt’altro che estranei alla prassi aziendale e consulenziale: a) l’approccio “estrapolazione numerica”, che riduce tutto o quasi alla costruzione di un bilancio preventivo pluriennale ricorrendo ad algoritmi e software applicati ai risultati di bilanci consuntivi recenti; b) l’approccio “più dati ci metto e meglio è”, cioè una serie sterminata di dati, grafici, tabelle, statistiche, proiezioni, senza un filo logico coerente, capace di razionalizzare il contenuto e le modalità attuative della strategia competitiva.

Occorre ancora notare che, nel modello corretto di business plan sopra delineato, un passaggio particolarmente delicato è quello dell’esplicitazione del c.d. “modello di business”. Questo viene di fatto variamente inteso, ma – affinché sia veramente efficace – deve non tanto descrivere processi e funzioni con cui concretizzare il business aziendale, ma piuttosto mettere in luce questi elementi:piano di business

  • gli obiettivi e sub-obiettivi  di gestione da perseguire
  • i fattori critici di successo (FCS) e di rischio (FCR) su cui agire.

Tale componente del business plan è particolarmente analitica nel caso di imprese di grandi dimensioni, ma dovrebbe essere opportunamente tenuta in considerazione anche dalla PMI (inclusa la start-up), che indubbiamente richiede un approccio metodologico più soft.

Passiamo ora in rassegna una serie di interrogativi che si sentono spesso formulare quando ci si avvicina per la prima volta al business plan o quando ci si accorge che è venuto il momento di realizzarlo in modo più rigoroso, dopo una prima fase di sperimentazione. Qui di seguito ne presentiamo alcuni, che riteniamo rilevanti sul piano operativo, e a volte su quello concettuale. A fianco della domanda compare una sintetica risposta .

 DOMANDE FREQUENTI IN MATERIA DI BUSINESS PLAN

DOMANDA

RISPOSTA

Fare il BP è veramente utile, visto il dinamismo dell’ambiente e – al limite – l’incertezza (cioè l’imprevedibilità) che caratterizza le proiezioni nel futuro e le stime?

Secondo alcune ricerche il 70-80% di strategie che falliscono sono dovute a inadeguata implementazione, ancora più che a idee sbagliate. L’alternativa è non fare il piano, oppure limitarsi alla stima di poche variabili-chiave, senza un piano sistematico. Il  piano è però senz’altro utile; perché sia efficace occorre che sia flessibile, ad esempio attraverso la formulazione di ipotesi alternative fin dall’’inizio.

Fare il BP è la stessa cosa in tutte le imprese?

Se è vero che la logica e la metodologia di base non cambia, è fuori di dubbio che non è la stessa cosa il BP di un’impresa in funzionamento “sana”, di un’impresa in crisi e di una start-up. Ciò che cambia è soprattutto il processo di costruzione del BP.

Qual è l’arco di tempo abbracciato dal piano? La prassi è di 3-5 anni, ma il periodo può essere variato per particolari business (es. farma, bio-tech), per le start-up, in caso di turnaround, ecc.
Esistono principi/procedure standard per la redazione del piano? Enti vari propongono metodi di BP, come Borsa italiana, Ordini Dottori Commercialisti, ecc.
Il BP è in qualche modo richiesto/disciplinato dalle norme vigenti?

In modo indiretto sì. L’art. 2381 C.C. cita l’esame del piano quando presente tra i compiti del CdA (co.3) e l’obbligo degli amministratori ad agire in modo informato (co.6). Anche il Collegio Sindacale è coinvolto nei “controlli interni”.

Qual è il grado di strutturazione e ogni quanto tempo bisogna riformulare il BP?

Il BP è lo strumento della pianificazione strategica e il suo è un processo meno strutturato di quello del controllo di gestione, ma più strutturato della semplice formulazione dell’”idea di business” o della sola formulazione di bilanci preventivi. Quando diventa uno strumento sistematico di gestione, ogni anno di solito lo si rivede.

Quali sistemi informativi supportano la redazione del piano?

Il tema si inserisce in quello più ampio del sistema di Pianificazione & Controllo. Ad es. avere un’architettura informativa su 3 livelli (ERP + DWH + applicazioni di planning, budgeting, forecasting e reporting)

Come si fa l’analisi  della domanda e dell’offerta di mercato, necessaria per le ipotesi di piano ? Mediante fonti:- esterne (pubbliche e/o ad hoc) e– interne: a) analisi trend storici, trend previsti e relativi driver della domanda;  b) analisi struttura competitiva del settore
Le analisi di mercato, qualora per la redazione del piano ci si rivolga a consulenti esterni, sono di competenza degli specialisti del BP?

Normalmente no, in quanto sono una parte strumentale al piano vero e proprio, che richiedono competenze specialistiche tipiche delle società che si occupano di ricerche di mercato.

Quanto tempo richiede fare il BP?

Ovviamente non esiste un tempo standard per un documento così personalizzato. Se si tiene conto del suo contenuto ottimale, si comprende che, anche nelle realtà di piccole dimensioni, l’ordine di grandezza non è solo di pochi giorni o addirittura di poche ore. È altrettanto evidente che è ben diverso costruire il business plan per imprese complesse e per imprese monobusiness.

 

 

Se tutto si traduce nel rispondere ad un questionario proposto da banche o finanziatori esterni, non bastano poche ore?

Quando il BP è inteso come insieme di risposte ad un questionario (tipicamente predisposto da un finanziatore esterno) per delineare il profilo gestionale e organizzativo dell’impresa, indubbiamente il tempo occorrente è molto minore, ma in realtà non si tratta di un BP.

Quali competenze sono richieste per fare il BP?

Il BP richiede conoscenze approfondite di gestione strategica e operativa e di organizzazione, oltre  che di metodi di misurazione economico-finanziaria. Nelle aziende di grandi dimensioni la sua costruzione chiama in causa direttamente lo specialista interno di pianificazione strategica e controllo di gestione. Per le imprese che non dispongono di un’organizzazione adeguata di P&C e per le start-up è fondamentale l’assistenza di un consulente. Ovviamente, il consulente non potrebbe mai fare il BP senza il coinvolgimento attivo dell’alta direzione dell’impresa richiedente.

Quanto costa un BP?

Prescindendo da proposte del tipo “il business plan a 99 euro”, come non tanto tempo fa lo scrivente ha avuto modo di leggere in una mail pervenutagli, il tempo richiesto, dell’ordine di  una o più settimane a seconda della complessità del caso, è indicativo di quanto la costruzione di un BP possa costare. Diverso è evidentemente il caso in cui si tratta semplicemente di rispondere ad un questionario (un certo numero di ore o pochi giorni).

Come si fa a prevedere i ricavi, vero punto di partenza di ogni stima dei risultati attesi dal BP?

È sempre necessario ricostruire il modello di generazione dei ricavi specifico del business e dell’azienda, diverso da caso a caso.

Inoltre, nelle imprese di elevate dimensioni, complessità e qualità organizzative si usano driver-based  revenue models che incorporano variabili macro-economiche, posizione di mercato dell’azienda e suoi competitors, livelli di spesa in pubblicità e promozione, ecc. Tali modelli di solito non sono però alla portata delle PMI (né necessari alle stesse).

In ogni BP di un certo livello si fa uso della c.d. matrice SWOT. Come si colloca questa nel BP e nel processo della sua costruzione?

La matrice SWOT è una foto delle opportunità e minacce (esterne) e dei punti di forza e debolezza (interni). In prima battuta, è utile prima delle linee-guida strategiche (vedi supra), come sintesi dei loro presupposti. Serve anche per costruire la mappa strategica e step seguenti. Non è la quintessenza del BP, ma è piuttosto uno strumento, tra i tanti, per contribuire alla sua costruzione.

Parti del BP, come Overview e simili, che ruolo svolgono e come si collocano nel BP?

Intese come descrizioni/analisi di azienda e mercato servono a) per decidere e b) per informare terzi.  Solo nel 2° caso sono parte del BP (o di suoi allegati).

Qual è il ruolo e l’utilità degli analytics e dei big data ai fini del BP?

Servono ad es. per moltiplicare le informazioni sugli acquisti (e sulle intenzioni “catturate” online) dei clienti e così – con opportuni algoritmi – prevedere meglio i trend delle vendite future. Valgono qui – per le PMI – considerazioni analoghe a quelle sui sistemi informativi e sui modelli di previsione dei ricavi.

Che cosa s’intende per “modello di business”?

È un’espressione molto usata, ma altrettanto ambigua. Spesso identifica “funzioni o processi per concepire, produrre, commercializzare i prodotti” (Borsa Italiana), meno spesso (ma più opportunamente) è inteso come “mappa strategica”, cioè come sistema di obiettivi/sub-obiettivi/fattori critici di successo.

Secondo quali “dimensioni di complessità” dovrebbe essere articolato il BP, specie nella previsione dei risultati?

Per “dimensione di complessità” s’intende il modo di scomporre il business: per prodotti/ gruppi di clienti/ canali distributivi/ aree geografiche/ brand, ecc.

Il BP include anche la parte finanziaria del piano?

Il BP in senso stretto riguarda la c.d. gestione “industriale”, cioè l’attuazione della strategia di business. Tuttavia, conclusa tale parte, occorre ipotizzare non solo i fabbisogni di capitale (di gestione operativa ed extra-operativa), ma anche le modalità di copertura finanziaria degli stessi. Al piano industriale in senso stretto si aggancia cioè il piano finanziario. Insieme formano ciò che comunemente si chiama “piano strategico”.

Come si collega il BP con il controllo di gestione?

Il BP e i vari strumenti del controllo di gestione formano un sistema integrato, in cui il budget è una riformulazione analitica e mirata del primo anno del piano e gli strumenti di misurazione ex post dei risultati (ad esempio la contabilità analitica, ma anche varie rilevazioni extra-contabili) quantificano i risultati effettivi e mettono in luce (nel reporting) il grado di raggiungimento di obiettivi. Di fatto questa integrazione spesso non è ottimale, perché gestione strategica (e piano) sono considerate una cosa e gestione corrente (e budget) un’altra.

 

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