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check-up aziendale

Business plan: i risultati attesi

Esempio 5

I risultati attesi

I risultati attesi dal business plan sono di vario tipo, ma – ovviamente – quelli che maggiormente riflettono le attese dei proprietari e dei potenziali finanziatori/investitori esterni sono di natura economico-finanziaria, accolti nel bilancio preventivo pluriennale, cioè:

  • conto economico
  • prospetto dei flussi finanziari
  • stato patrimoniale

solitamente di durata triennale (ma non è una regola fissa) e in ogni caso articolati nei vari anni del piano.

Tutte le considerazioni degli articoli precedenti (vedi “Come è fatto un business plan“) riguardano il business plan in senso stretto (o piano industriale) e si riferiscono alla sola gestione operativa o caratteristica. Essi conducono – per dirla in modo semplificato – a quel risultato intermedio del conto economico che è l’EBIT o reddito operativo netto. Per completare il bilancio preventivo, occorre considerare:

  • la gestione finanziaria, sia in termini di fabbisogni di capitale che di fonti di finanziamento e, dal punto di vista economico, in termini di oneri (e proventi) finanziari;
  • la gestione atipica e quella straordinaria;
  • la gestione tributaria.

Ovviamente in questa parte del piano si usano le tecniche contabili proprie del bilancio. A volte però sembra che fare il business plan significhi concentrarsi solo sul momento contabile, bypassando tutto quello che è stato detto e sottolineato nei paragrafi precedenti. Tipico è l’approccio “estrapolativo”, che fa dipendere i valori futuri da trend che hanno preso l’avvio in passato, con o senza qualche variazione di tendenza. Per evitare questo rischio, che annullerebbe ogni affidabilità del piano, occorre usare un approccio di driver based planning, cioè basato sui driver (o, meglio, la catena di driver o determinanti) dei risultati attesi. In particolare, è necessario:

  • che i risultati finali scaturiscano dalle premesse create nelle fasi precedenti;
  • che si faccia uso di strumenti, non necessariamente sofisticati (come sono ad es. certi modelli matematici con molte variabili, non praticabili in una tipica PMI), di quantificazione delle grandezze-chiave, a cominciare dai ricavi di vendita;
  • che si ricostruisca in modo mirato e rigoroso il modello di generazione dei ricavi e il modello di fabbisogno di risorse, si tratti di costi o di investimenti.

Concentriamoci su quest’ultimo punto, veramente delicato.

Il modello di generazione dei ricavi va confezionato su misura della specifica azienda, anche se esistono similitudini tra aziende di certe tipologie (ad es. produzioni su commessa, grande distribuzione organizzata per punti di vendita, ecc.).

Qui di seguito si riporta un esempio di modello di generazione dei ricavi dell’impresa SN, piccolo social network rivolto ad un particolare segmento di clientela, che per prevedere i propri ricavi di vendita ragiona come qui appresso descritto.

come misurare i risultati attesi dal business plan

Esempio di modello di generazione dei Ricavi di SN

I ricavi di SN sono dati dai proventi pubblicitari che gli inserzionisti riconoscono al social con la formula “pay for lead”, dove il “lead” è un cliente potenziale che si registra dando informazioni di contatto (diverso da “pay for click”, dove l’inserzionista paga una tariffa quando un utente clicca sull’annuncio pubblicitario).

A sua volta, SN sostiene costi per proprie campagne pubblicitarie, al fine di acquisire utenti. Quindi la pubblicità va considerata due volte: come fonte di ricavo (pubblicità degli inserzionisti) e come fattore di costo (pubblicità di SN).

Con riferimento al primo anno del piano, il modello di generazione dei ricavi  è esprimibile secondo le logiche (e gli esempi numerici[1]) seguenti.

•        n.utenti già acquisiti all’inizio dell’anno di piano:  n. 2.000
•        n. utenti incrementali 1° trimestre: n. 6.300, che dipendono da:

– n. visite sito incrementali del periodo: n. 90.000

– tasso di conversione visite in utenti: 7%

•        n. utenti totali a fine 1° trimestre: n. (2.000+6.300) = n. 8.300
•        tasso di crescita visite per ogni trimestre successivo (1° anno): 20%
•        n. utenti totali a fine trimestri successivi:

– n.  8.300 x 1,2 = n.  9.960 (2° trim)

–  n.   9.960 x 1,2 = n.  11.952 (3° trim)

–  n. 11.952 x 1,2 = n.  14.342 (4° trim)

•        n. pagine settimanali mediamente viste da ogni utente: n. 4
•        n. pagine trimestrali viste totali (1 trimestre = 13 settimane):

– n. 8.300 x 4 x 13 = n. 431.600

– n. 9.960 x 4 x 13 = n.   517.920

– n. 11.952 x 4 x 13 = n.   621.504

– n. 14.342 x 4 x 13 = n.   745.784

•        tasso di click su inserzioni pubblicitarie rispetto a pagine viste: 10%
•        n. click trimestrali totali:

– n.   43.160

– n.   51.792

– n.   62.150

– n.   74.578

•        tasso di click “lead”:  25%
•        n. click lead  trimestrali totali:

– n.   43.160 x 0,25 = n. 10.790

– n.   51.792 x 0,25 = n. 12.948

– n.   62.150 x 0,25 = n. 15.537

– n.   74.578 x 0,25 = n. 18.644

•        prezzo unitario “pay for lead”:  € 2
•        ricavi pubblicitari trimestrali totali:

€   21.580

€   25.896

€   31.074

€   37.288

Totale      €  115.838  annui

Tale modello si può sintetizzare così:

(n. visite * tasso conversione visite * n. pagine/utente) * % click * % click lead * prezzo unitario click lead

dove:

n. visite * tasso conversione visite = n. utenti

Il modello di generazione dei ricavi comporta stime su:

Variabili delle vendite
– n. visite sito incrementali 1° trimestre
– tasso di conversione visite in utenti
– tasso di crescita visite per ogni trimestre successivo
– n. pagine settimanali viste da ogni utente
– tasso di click su inserzioni pubblicitarie rispetto a pagine viste
– tasso di click “lead”

al fine di ottenere il “volume” fisico, da moltiplicare per il prezzo unitario.

Mentre il numero di utenti del social già acquisiti ed il prezzo di un click sono dati già disponibili, ciascuna delle variabili della tabella di cui sopra richiede stime, in parte interne e in parte esterne, queste ultime affidate a specialisti in ricerche di mercato. Il tutto con le ovvie conseguenze in termini di tempi richiesti e costi per SN, da aggiungere a quelli della pubblicità che l’azienda in questione fa per acquisire i propri utenti.

[1] Dati non reali, riferiti ad un caso concreto.

Per ciò che riguarda il modello di fabbisogno di risorse della gestione operativa, bisogna distinguerlo in due parti:

A) il modello di generazione dei costi

B) il modello di fabbisogno di capitale (investimenti).

valutazioni convenienza economicaA) Il modello di generazione dei costi è condizionato dal settore di appartenenza dell’azienda (ad es. servizi piuttosto che manufacturing), dal tipo di business e da altri fattori, tra cui spicca il cosiddetto “sistema di produzione”, espressione con cui si intende come l’azienda soddisfa la domanda di mercato: tramite il magazzino (sempre che sia un’impresa industriale), oppure su commessa specifica del cliente. Nella trattazione che segue si userà un modello che, in una certa misura, è applicabile ad una vasta panoramica di aziende.

In sede di piano, occorre classificare i costi operativi in modo che riflettano i driver che ne causano il sostenimento. La classificazione è la seguente:

  1. costi diretti di prodotto;
  2. costi indiretti collegabili ai prodotti imputandoli prima alle attività che li generano
  3. costi indiretti non collegabili ai prodotti con la ricostruzione delle attività che li generano
  4. costi dei progetti per iniziative strategiche di cambiamento del posizionamento e di miglioramento processi.

I costi diretti di prodotto si riferiscono sia a prodotti già nella gamma che a prodotti nuovi, da lanciare nel periodo del piano. Il loro calcolo è relativamente semplice, purché siano già disponibili adeguati archivi tecnici (es. cicli di lavoro per il lavoro diretto, distinta base per le materie prime, ecc.).

I costi indiretti presentano un modello di fabbisogno più complesso.

Nel caso b) la preventivazione di risorse come lavoro indiretto, utenze, quote di ammortamento, ecc. può basarsi sulla loro imputazione alle “attività” che li generano (ad esempio la gestione degli ordini dei clienti, l’emissione di ordini ai fornitori, la movimentazione dei materiali, ecc.) e, di qui, ai prodotti che ne sono all’origine (ad esempio della consegna ai clienti). Un esempio, riferito ai costi di gestione ordini dei clienti, può chiarire come si applica il modello di fabbisogno di tali risorse.

 Esempio di stima dei Costi indiretti ricollegabili ai prodotti

•        volume annuo programmato di vendita:

–        prodotto Alfa  n. 1.500.000  unità (dimensione ordine medio: n. 750 unità)

–        prodotto Beta n.    500.000  unità (dimensione ordine medio: n. 1.000 unità)

•        n. ordini previsti:

–        prodotto Alfa  n. 2.000 ordini

–        prodotto Beta n.     500 ordini

•        costo medio gestione di un ordine: € 100 (stimato ad hoc, o – per imprese meglio organizzate – ricavato dalla contabilità analitica ABC, Activity Based Costing)

•        costi totali annui attività “gestione ordini da clienti”  €  100 x n. ordini 2.500 = € 250.000, di cui:

–        prodotto Alfa  € 100 x n. 2.000 ordini = € 200.000  (incidenza su unità prodotto = € 0,13)

–        prodotto Beta € 100 x n.    500 ordini = €   50.000  (incidenza su unità prodotto = € 0,10)

In definitiva, il fabbisogno di risorse indirette per gestire gli ordini del prodotto Alfa e del prodotto Beta comporta teoricamente costi pari a € 250.000.

Nel caso c) la possibilità di collegare i costi indiretti ai prodotti non esiste, per cui la loro stima in funzione di qualche parametro “di prodotto” non ha senso, anche se in pratica spesso si dimentica tale realtà. Si tratta innanzitutto di costi indiretti che potremmo definire “non-ABC”, i quali spesso vengono annoverati tra i costi più generali (general overhead), tipicamente della funzione amministrativa, ma presenti anche in altre funzioni, inclusa quella  commerciale e perfino in quella di produzione. In questa ampia categoria, coesistono tipologie come le seguenti:

  • costi stimabili in funzione dello svolgimento di talune attività e dei loro volumi (ad esempio costi amministrativi di contabilità, emissione fatture, reporting, ecc.);
  • costi non riferibili ad attività e processi aziendali, ma a risorse/servizi acquistati esternamente, come assicurazioni, consulenze, contributi associativi, sorveglianza, ecc.

Mentre per i primi vi è un riferimento ad attività/processi aziendali, e quindi la loro previsione è in qualche misura “parametrizzabile”, per i secondi questo non è possibile. In ogni caso, dato che stiamo parlando di PMI, occorre che il bilancio costi-benefici dell’applicazione di modelli evoluti di fabbisogno di risorse chiuda in positivo, in termini di benefici netti. Se si tratta di costi indiretti di limitata entità, si giustificano approcci meno rigorosi, ma più semplici.

Infine, i costi dei progetti strategici, di cui alla categoria d), sono valori – di competenza di ciascun periodo – derivanti da decisioni definibili discrezionali, cioè affidate alla discrezione della direzione per quanto concerne il loro ammontare (oltre al “se” sostenerli). Infatti, tipici progetti strategici, come ad esempio quelli relativi all’ingresso in un nuovo mercato, comportano stanziamenti che difficilmente sono il frutto di un calcolo “tecnico-economico”, anche se qualche pseudo-parametro esiste sempre (gli stanziamenti di altre imprese o quelli passati dell’impresa in questione). In ogni caso questi costi vanno stimati a parte, cioè non vanno annegati nel grande calderone delle spese generali.

come misurare i risultati attesi dal business plan


fabbisogni di capitaleB) Il modello di fabbisogno di capitale riguarda due tipi di investimenti della gestione operativa, da effettuare nell’arco di tempo futuro (es. ogni anno del piano):

  1. gli investimenti in capitale circolante netto gestione operativa (CCNGO)
  2. gli investimenti in capitale fisso gestione operativa.

I fabbisogni di capitale circolante netto della gestione operativa sono dovuti a:

  • crediti commerciali (+)
  • scorte di magazzino (+)
  • debiti commerciali (-)

e il loro importo dipende in sostanza da:

  • volumi e valori di produzione e vendita, da un lato,
  • “ritardi” con cui rispettivamente vengono incassate le vendite, tenuti in scorta i materiali e prodotti prima della loro consegna al cliente e pagati gli acquisti ai fornitori, dall’altro.

Per fare un semplice esempio di stima relativa al primo anno del piano, consideriamo questi dati, relativi ai crediti commerciali:

Esempio di stima del fabbisogno di capitale per crediti commerciali

–        Crediti commerciali a inizio anno € 200.000

–        Ricavi vendite stimati € 1.000.000

–        Tempo medio d’incasso dei crediti 3 mesi (cioè un tasso di rotazione di 4 volte all’anno)

si deduce che:

–        Crediti commerciali a fine anno = € 1.000.000 / 4 = € 250.000

–        Fabbisogno di capitale per investimenti in crediti = € 250.000 – € 200.000 = € 50.000

I fabbisogni di capitale fisso della gestione operativa sono dovuti ad investimenti in assets materiali o immateriali, come:

  • immobilizzazioni tecniche (impianti, macchinari, attrezzature, hardware, ecc.);
  • progetti di ricerca e sviluppo, comunicazione, formazione del personale, riorganizzazione, ecc. (qui si prescinde dal modo di trattare contabilmente alcune di tali voci da parte dei Principi contabili).

Tali fabbisogni riflettono ampliamenti della capacità produttiva, rinnovo di risorse o altre decisioni di “sviluppo” comunemente definite – dalla prassi aziendale – di Capital Expenditure (CAPEX). Essi non sono conseguenza dei processi di produzione e vendita, ma costituiscono la “capacità” produttiva o condizioni di strategia di business per renderli possibili. La previsione degli investimenti in capitale fisso (sia materiali che immateriali) può basarsi o meno sull’entità dei ricavi previsti per il lungo periodo. Ciò nel senso che alcuni investimenti (impianti, macchinari, ecc.) hanno dimensioni legate alla capacità produttiva occorrente per rendere possibili dati volumi di produzione e di vendita. Questo non significa ovviamente che il loro ammontare sia proporzionale all’entità delle vendite, ma solo che la decisione di “struttura” da cui l’investimento deriva non è discrezionale in senso stretto, come avviene invece per altri investimenti (ad esempio in ricerca e sviluppo, sviluppo del personale e pubblicità), che in larga misura sono decisi in funzione di parametri come benchmark esterni, valori storici interni, e – spesso – mezzi finanziari disponibili.

A questo punto dell’iter di previsione dei risultati attesi, occorre ancora considerare gli altri elementi del bilancio preventivo pluriennale del piano strategico, da prevedere e inserire opportunamente nel:

  • Conto economico
  • Prospetto dei flussi finanziari
  • Stato patrimoniale.

Non si entra qui nel dettaglio di tali valori e del loro modello di generazione. Si ricorda solo che occorre considerare nel Conto economico, dopo la determinazione del risultato operativo netto, gli ulteriori componenti, e cioè gli elementi (ricavi e costi) della gestione:

  • finanziaria
  • straordinaria e atipica
  • tributaria

rendiconto finanziarioe, nel Prospetto dei Flussi finanziari (impieghi-fonti), dopo la determinazione dei fabbisogni di capitale della gestione operativa, gli ulteriori flussi, non ancora considerati, e cioè:

  • gli investimenti in capitale fisso e in capitale circolante extra gestione operativa (es. partecipazioni societarie estranee al business, immobili dati in affitto a terzi, ecc., oppure crediti per finanziamenti a breve, titoli di pronto realizzo, ecc.);
  • i rimborsi di debiti pre-esistenti (es. mutui, prestiti obbligazionari, ecc.);
  • i rimborsi di capitale proprio (es. per recesso o decesso di soci, per pagamento dividendi, ecc.);

dal lato dei fabbisogni di capitale, e:

  • l’autofinanziamento
  • gli aumenti di capitale proprio
  • gli aumenti di capitale di credito (finanziario)
  • i disinvestimenti extra gestione operativa.

dal lato delle fonti di finanziamento.

Lo Stato patrimoniale alla fine di ogni anno del piano, infine, scaturisce automaticamente dai valori del conto economico e del prospetto dei flussi finanziari, noto ovviamente lo stato patrimoniale iniziale.

A completamento di quest’ultima parte del business plan, si riportano degli esempi di ciascun prospetto del bilancio preventivo. Si precisa soltanto – e si sottolinea – che ognuno di essi potrebbe essere configurato in vari modi, a seconda delle esigenze interne del management o di quelle esterne di potenziali finanziatori/investitori. Non esiste insomma una struttura standard, come per il bilancio consuntivo civilistico, ma configurazioni diverse a seconda delle esigenze informative.

Riportiamo ora un esempio di struttura di Conto economico (senza indicazione dei valori), utile per scopi gestionali, perché evidenzia vari margini prima del risultato netto.

Esempio di Conto economico

 

VOCI IMPORTI
Ricavi di vendita
–   Costi variabili
=  MARGINE LORDO DI CONTRIBUZIONE
 –  Costi fissi diretti
=  MARGINE SEMILORDO DI CONTRIBUZIONE
–   Costi indiretti

Amministrativi

       Commerciali

       Industriali

       Vari Generali

=  EBITDA
–   Ammortamenti e altri accantonamenti
=  EBIT
-/+ Oneri/proventi

Finanziari

      Atipici

      Straordinari

=   REDDITO ANTE IMPOSTE
–    Imposte sul reddito
=   REDDITO NETTO